9.999 grazie

Il risveglio non è stato dei migliori.
 
Marco, da Parigi, mi manda l’ultimo numero di Vogue Paris, con una pagina dedicata a Francesco.
Un saluto da parte del suo mondo lavorativo.
Sincero, di cuore, come sono stati  loro in tutto questo periodo assurdo.
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Tutto torna in un attimo alla mia mente.
Tutto il dolore, tutta la mancanza che sento ogni momento.
Tutti quei giorni di limbo passati laggiù.
Tutto il vuoto.
Francesco riempiva la vita, a tante persone.
Magari anche con una telefonata di cinque minuti.
Ma il modo in cui riusciva a parlare e ridere contemporaneamente, sminuzzando le parole, frastagliandole con singulti, ti portava il sole anche in una giornata di grigio.
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Ancora non riesco a descrivere quel giorno, quella telefonata.
Quel momento in cui mi sono staccato dal mondo, dalla realtà per poi ricaderci rovinosamente.
Quel macigno nel cuore, quel sussurro di Mara  “Paolo devo dirti una cosa, siediti”
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Il mio cuore si è spaccato con tre parole.
Che non riesco a scrivere. Per ora.
Piango anche ora mentre lo scrivo.
Mentre Viola mi sta facendo il caffè.
Nel mio bar, fra le mie cose, i miei “buongiorno biondo”.
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È un dolore che non passerà, che non voglio che passi.
È un compagno di viaggio ormai.
Mi farà sempre meno male, sara sempre più presente.
Perché il mio cuore si è spaccato, solo per fare entrare amore.
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L’amore e la morte sono forse la stessa cosa. Almeno per me.
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Da quel sei ottobre tutto è cambiato. Io sono un’altra persona.
Non lo capisco osservandomi, ma osservando gli altri.
Il modo in cui si avvicinano, in cui mi parlano, si confidano.
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Viola si volta ” biondo che è? Tutto zitto oggi?”
“Scrivo Viola, per il blog, ma ho quasi finito!”
Mi tiene d’occhio, capisce col cuore. E con una frase mi abbraccia.
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Ricevo mail meravigliose tutti i giorni, ringrazio ogni singola persona, ogni singola parola, ogni nota delle canzoni che mi spedite.
Il mio essere in questo mondo ha assunto significati diversi.
Non me ne frega più molto di foto,feste e tappeti rossi.
Ma allo stesso tempo non vedo l’ora di rifarli, in modo totalmente diverso.
Ora sono le persone il mio centro.
Anche su un tappeto rosso, anche per strada, anche da solo.
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L’essere umano è un’invenzione incredibile.
Quello che c’è là dentro, quello che possiamo scambiarci è rivoluzionario.
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Io vedo il cambiamento di tante persone accanto a me.
Riesco a oltrepassare la maschera, il primo strato, le persone mi arrivano al cuore.
Ogni tanto leggo delle mail e mi commuovo.
Possiamo fare così tanto senza alcuna fatica.
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Qualcuno mi ha scritto che si riconosce nelle mie parole, che spesso quello che scrive è molto simile ai miei pensieri, ma che non se la sente di pubblicarlo perché verrebbe deriso dagli amici.
Anche io l’ho pensato. In passato.
Poi questo evento così destabilizzante mi ha scolpito nella mente a lettere di fuoco…e sti cazzi!
Io ho avuto bisogno di scrivere, di spogliarmi con ferocia delle mie difese, di farmi fluire la vita per com’è in questo momento.
E non chiedo il permesso a nessuno.
Questa onestà dell’anima a volte può dare fastidio.
Io non ho alternative.
Quindi prendere o lasciare.
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Grazie a tutti quelli che prendono, e non lasciano.
Grazie a quelli che cambiano insieme e a me.
Grazie a chi mi fa crescere.
Grazie alla morte.
Grazie all’amore.
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tanto gentile e tanto onesta pare…

È appena calato il sole di questo weekend di fine novembre. A Roma è praticamente settembre. Oggi il brunch sul terrazzo di Giovanni lo abbiamo fatto in maniche corte.
Eravamo tanti, 15 con punte di 20.
Stare fra belle persone mi rigenera, meglio delle terme.
Tutto il weekend è stato un prendermi cura, non calcolato, di me.
Il divanone grigio-blu raccoglie i miei pensieri in un abbraccio di velluto, Arthur che suona Chopin spinge i miei pensieri oltre le mura di casa.
Respiro il caldo delle candele, che riscalda il mio spirito.
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Tre giorni di gentilezza.
Che bella cosa, la gentilezza.
È stata presente, in ogni momento, sotto tante forme.
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Questa mattina sono andato al vernissage di Gonzalo Orquin, a San Lorenzo.
Esponeva in quella che credo sia la sua casa.
Una bella idea, la casa si presta perfettamente.
E poi entri un pó meglio nel suo percorso artistico, nel suo mondo.
I suoi quadri mi piacciono, sono immediati, spontanei, gentili.
Sfumature di persone con sfumature di colori.
Piccoli gesti, piccoli sguardi delicati. E nel parlare di altri parla di lui.
Immediato, spontaneo, gentile.
Mi ha chiesto di posare per un quadro.
Ovviamente ho subito accettato, il mio ingombrante ego non mi avrebbe mai perdonato un rifiuto. Dice che vuole pensare qualcosa di speciale per me.
Mi piace l’idea di essere visto dagli occhi di un pittore, di capire cosa lui, in me, riconosce di sè.
Perché di questo sono sempre stato curioso.
Come gli altri mi vedono.
Come ognuno nel vedermi mette del suo.

A sentire le voci in giro sono all’incirca un centinaio di persone diverse.

Conoscere una persona, provare a capirla non è mai un gesto oggettivo.
Il nostro io si va a mischiare con quello dell’altro.
E dalla moltitudine di quello che siamo prende tutto ciò che è più simile a lui, tutto quello che riconosce, nel bene e nel male.
Per questo quando una persona mi sta sulle scatole dopo due secondi che l’ho conosciuta, parlo di quell’antipatia a pelle, ingiustificata, mi fermo un attimo a pensare.
Ah…tanto per non sembrare tipo l’illuminato con le gambe incrociate e gli occhi chiusi che non mangia per sei mesi pronto alla levitazione, un sacco di volte mi è successo di mandarle a cagare quelle persone.
Ultimamente invece, ma solo ultimamente, mi distacco per un attimo dal desiderio di attaccare e mi chiedo cosa mi dà così fastidio di una persona che non conosco affatto.
E mi diverto a capire in cosa mi riconosco, quale parte di me che non mi piace è presente tale e quale in quell’altro.
Mi piace da morire notare quanto la nostra piccola parte razionale, che disperata tenta di controllare tutto in realtà rimane sconfitta al confronto di un intuito, una ragione non-ragione che ci governa a nostra insaputa.
Mi piace da morire pensare che il nostro cervello sta nel corpo, nella pelle.
Che sentiamo senza capire, perché non ascoltiamo la piccola vibrazione di un sussulto alla vista di un altro essere umano, allo sfiorarsi casuale di due mani.
Il nostro corpo ci dice tutto, capisce tutto.
Basterebbe ascoltarlo, fare silenzio nel tumulto del cuore e accettare quell’immensa piccolezza che siamo.
E se questo sentire il brutto di un altro, che ci viene piuttosto facile, lo indirizzassimo a scoprire il bene comune che ci rende tutti uguali?
Se tutto il nostro impegno fosse rivolto a trasformare quell’antipatia irrazionale in un analisi più profonda del rapporto con l’altro?
Siamo tutti piccoli esseri, per lo più in difetto con la vita, che si barcamenano alla meno peggio per stare a galla.
Vedere questa difficoltà anche negli altri ti fa perdonare tante cose.
Ti fa pensare che arrabbiarsi è uno spreco di tempo, anche se a volte può risultare piuttosto gratificante. Ma a breve termine. Alla lunga è solo e comunque una perdita di tempo.
La gentilezza può sembrare un atteggiamento da deboli. Ed è una delle armi di difesa più incredibili di cui siamo dotati.
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Oggi su quel terrazzo c’era gentilezza.
Nel preparare le uova strapazzate e il bacon, nell’abbinare con coraggio fois gras, fagioli all’americana e sciroppo d’acero, mentre gli altri sfornavano i pancake, altri apparecchiavano in terrazza, altri chiacchieravano e ogni tanto con gentilezza chiedevano se serviva una mano.
Nel sedersi tutti intorno a un tavolo e chiedersi chi siamo.
Nell’apprezzare la voce di Emma, dolce e un po’ graffiata che assomiglia a un’attrice, ma non abbiamo ancora capito quale.
Nell’accoglienza di Giovanni, che unisce persone diverse, le rende un gruppo e poi in disparte, con gentilezza, le osserva.
Nel tramonto che un cilindro di 30 metri con una scala a chiocciola ha reso un de Chirico ai miei occhi.
Nello scodinzolare di Randa, la cagnolino di Alessia e Marco, che è tanto dolce da essere apostrofata “un po’ puttana”, perché chiede coccole a tutti e abbaia ai gabbiani.
Nel pomeriggio di una domenica di novembre in cui la gentilezza è stata la ventunesima invitata di un’allegra tavolata su un terrazzo di San Lorenzo.

fra polvere e sigarette

A volte nel nome si cela davvero il carattere di chi lo porta.
I Tommaso notoriamente non credono se non mettono il naso.
Per questo stamattina Tommy, dopo aver letto i post del mio blog, mi ha seguito a colazione.

musica maestro!

Il  mio “buongiorno biondo” è arrivato squillante, puntuale, inattaccabile.
Non ero ancora completamente entrato nel bar degli spaghettari che già Viola con un sorriso gioioso mi scaricava una vagonata di entusiasmo in tazza piccola e zucchero di canna.
La felicità a 70 centesimi…mi sembra quasi di rubare.
Tommy non può fare altro che ridere, come sa fare lui che ride con gli occhi.
Viola sta diventando una celebrità.
Me la immagino con un telegatto in mano, personaggio dell’anno.
E se lo meriterebbe tutto.
Viola sarebbe da sostituire ai distributori di merendine negli uffici.
Non fa ingrassare, ti cambia la giornata e come la peggiore delle epidemie è altamente contagiosa.
Tommy va al lavoro sorridendo e io sorridendo mi incammino verso piazza di Spagna.
L’epidemia sta dilagando.
Musica nelle orecchie, gente che ride, energia viva.

Mi imbatto in una serie di donne bellissime, di quelle bellezze interiori che modellano i lineamenti.
In via del corso la ragazza in bicicletta mi sorride, con un rossetto rosso rosso. Poi prosegue armoniosa in direzione opposta alla mia, la vedo allontanarsi mentre cammino al contrario. “Grazie!” vorrei gridarle, ma credo che lei già lo sappia.
Quella dai lineamenti orientali invece è appoggiata a un muretto,aspetta il tram.
Anche lei bellissima, con uno stile molto personale ma semplice, lo stesso rossetto rosso. Mi guarda e ride, forse perché sto canticchiando col iPod nelle orecchie.
Sorrido di risposta e faccio l’occhiolino.
Sono ridicolo, penso,ma vengo dalla Romagna.
Lì ci tirano su a piadina, Fellini e “vitelloni” (è un film…specifico per alcune persone che non sanno cosa si sono perse, recuperate!).
L’occhiolino lo facciamo di default.
Proprio nel punto in cui via dei condotti sfocia in quella sfolgorante cascata di pietra della scalinata di Trinità dei Monti incontro Andrea R. (http://thatsitnetwork.blogspot.com/) con Lilian la terza miss ” quando la natura si impegna non c’è nulla da fare”.
Bellissima, sorridente. Non credo sia italiana.
Forse sto girando uno spot Benetton e non me l’hanno detto.
Il suo nome si sposa perfettamente con la luce che porta negli occhi.
Non potrebbe chiamarsi in altro modo.

Il nome è importante, ti segna a vita, nomen omen, il nome è un presagio.

Mio fratello numero 2 si chiama Stefano, significa “corona, perfezione della natura divina”
Mio fratello numero 3 si chiama Francesco, significa “libertà”
Mia sorella numero 4 si chiama Elena, significa “fiaccola, scintillante, splendente”

Io, il numero 1, mi chiamo Paolo.
Significa “piccolo, poco”.

Vorrei sentitamente ringraziare i miei genitori per la cura e la dedizione impiegata nella scelta del mio nome.
Mamma replica che unito al cognome suona un po’ come un auspicio, piccola stella.
Non le credo.

Intanto è arrivato il tramonto. E con lui Guja, figlia di un premio Oscar (lo dico sempre, lei si incavola regolarmente. Ma se tuo padre è un premio Oscar io che ci posso fare?).
Con Guja si sta bene, lei ti fa stare bene. E’ piena di contrasti e questo la rende affascinante. Chiamava Franci James, per la somiglianza a James Franco. E lui le diceva a intervalli regolari di due minuti “sei troppo zoccola” o “sei troppo casta”.
E infatti è cosi. E’ tutto e anche il suo contrario. Straordinaria. Mi accorgo che proprio le voglio bene, mentre mi legge il suo di blog, che scrive ma non pubblica, tanto per rimanere fedele al concetto di prima. E scrive pure bene, sta scema…
La luce dai raggi rosa-arancio ci saluta come un caro amico incastrato fra due palazzi e una prospettiva che si perde all’infinito.


Da oggi sarò finito in almeno un centinaio di foto, dietro a coppiette coreane e gruppi di spagnoli. Mi porteranno con loro, in giro per il mondo, senza sapere che a loro volta sono entrati nei miei racconti.
E ancora penso a quanto siamo inconsapevolmente ma inesorabilmente connessi.
Vorrei sapere quante persone che non ho mai conosciuto continuo a incrociare, in giro per il mondo.

Mi piace che la mia vista possa sconfinare a perdita d’occhio.
Respiro forte, respiro vita.
E con tutta questa vita negli occhi, nel naso, nella testa e sulla pelle mi avvio verso casa. Cammino, penso.
Penso che ci sia davvero un sacco d’amore nel mondo.
Penso che l’amore che preferisco è quello che trovo, che non mi aspetto.
Che mi sorprende sbucando all’improvviso, proprio li dove non credevo.

Nel sorriso di uno sconosciuto, in un tramonto, in una morte, su un ciottolo per strada fra polvere e sigarette.

Arrivo a casa, stanco. Mi rendo conto che il sorriso di stamattina si è fatto tutta la giornata, fino a sera.
Mi sembra un grande risultato.
Apro la mail e trovo Giorgia che mi scrive poesie,Fabiana che mi dedica una canzone e Maria che dice che”da quando ti leggo prendo la metà dello xanax che prendevo ogni giorno”.
Rido.
Poi penso che allora a qualcosa puo’ davvero servire aprire il cuore. E sono io che ringrazio Giorgia,Maria e Fabiana.

e dato che credo che ogni cosa abbia senso solo se condivisa, ecco quella canzone che mi è stata dedicata. Io la dedico a te.