Teatro Quirino, Roma. Ore
23:40. Foyer del teatro. Appena terminata la première dello spettacolo “Favola” di Filippo Timi.
“Ma perché è così difficile per una persona fare un complimento?”
Queste sono le prime parole che mi ha detto in vita sua Caterina Guzzanti.
Non so se nel corso di questa vita ci rincontreremo, ma nel caso succedesse sarà uno di quei rari casi in cui sai esattamente quando le nostre strade si sono intersecate e il nostro scambio umano cominciato. E ancor più raro mi ricorderò le sue prime parole esatte.
Un ragazzo con la barba lunga e la sciarpa a strisce (un po’ la divisa di un genere ben preciso di persone “che va a teatro, odia il grande fratello,in generale la tv e si lamenta che tanto lavorano solo i raccomandati”) vede e riconosce Caterina.
In quel momento per caso ci siamo solo noi tre, io mi vedo tutta la scena.
Bofonchia qualcosa, forse per timidezza, una specie di complimento, ma un po’ strano, un po’ stonato. Tutto di corsa, poi scompare dietro una tenda rossa, senza permetterle nemmeno di dire grazie.
Pausa.
Lei si volta verso di me. Non c’è nessun altro. Risatina di imbarazzo.
E mi dice quelle parole, leggermente dispiaciuta con un pizzico di incazzatura tenuta sotto sotto. Penso che le è successo già molte volte.
Rido anche io, medesimo imbarazzo.
Ci presentiamo e scambiamo quattro chiacchiere.
A cena ci ritroviamo allo stesso tavolo.
La trovo carina gentile semplice. Non certo una di quelle che incutono paura, che possono mettere in soggezione. Ma allora perché?
Le sue parole di prima nel frattempo si fanno strada fra le mie sinapsi, piantono la tenda fra i miei neuroni, nei miei pensieri. Ci rimangono. Evidentemente c’era molto spazio libero.
Mi era già capitato di notare come molte persone nel farti un complimento sentono l’impellente necessità di farlo seguire da un commento negativo.
“Eri proprio bravo in quel film, peccato i capelli ti stessero così male”
“ti trovo così intenso… ma dal vivo sei molto più piccolo”… Avrei milioni di esempi.
Non sarebbe più facile fermarsi prima del “peccato che..”?
Questo discorso può sembrare banale e io permaloso e egocentrico.
Cose per altro vere.
Ma se lo si analizza bene credo che nasconda un mondo.
Credo che sotto sotto, insinuante come un tarlo nei suoi chilometrici cuniculi ci sia un sentimento devastante, l’invidia.
La proviamo tutti, è parte dell’uomo.
Fa male a tutti. Non serve a nulla, totalmente inutile. Ma c’è.
Come sarebbe bello poter dire semplicemente ” sei bravo, sei proprio bravo”
Io l’ho detto iersera a Filippo.
SEI BRAVISSIMO FILO.
Siamo amici da un po’ di anni. Ho visto ogni suo spettacolo.
A capodanno eravamo in sette a casa sua, io e marina ci siamo ubriacati.
Anche lui.
Abbiamo ballato Single ladies copiando la coreografia dalla tv.
Qualcuno ha ripreso con la telecamera.
La sua agente ha sequestrato tutto il materiale.
Io un giorno lo riavrò. (trema Federica)
Quella sera, anche se ubriaco, feci una foto, a una calamita attaccata al frigo di Filippo.
Filippo Timi è diverso.
Il suo spettacolo “favola” è diverso.
E quando esci sei diverso pure tu.
Sei aperto, ricettivo, creativo. Tutto va al di là del “mi è piaciuto o non mi è piaciuto” perché tutto è vivo in quel momento.
E quella verità arriva, spalanca il cuore.
Filippo in questo spettacolo è vestito prada.
Da donna.
E non da travestito, proprio da donna.
È una donna per 2 ore.
Chiunque altro sarebbe risultato ridicolo, lui no.
Dopo 5 minuti ti scordi della sua animalesca corporalità e ti immergi nella sua delicata leggerezza.
Una donna anni 50, in un salotto anni 50.
Si ride, ci si commuove, si vive.
Io lo renderei obbligatorio.
Tipo le tasse, però come se tutti le pagassero.
Ci sono spettacoli, forme d’arte, bellezze naturali, musiche, posti in cui è obbligatorio andare.
Ci sono modi per aprire il cuore, vedere l’incredibile potenzialità che l’uomo ha in se, essere in comunione con gli altri.
Sono miracoli.
L’unica cosa da fare, il compito che mi pongo, è ricercare la mia verità più profonda, sradicare ogni singolo inutile strato difensivo, strapparmi la pelle non mia,essere cosa sono.
Io sono unico, come chiunque altro.
La nostra diversità, quando arriviamo alla sua essenza, ci accomuna a tutti gli altri, ci rende fratelli.
Sembra un paradosso ma non lo è.
Io sto facendo un percorso umano ben preciso, doloroso a volte, ma comunque di ricerca, per arrivare alla mia essenza.
E nel mio personalissimo percorso mi accorgo di quante altre persone lo stanno facendo nella loro maniera.
E ci si riconosce, ci si incontra, nei modi piu disparati.
Mi sono arrivate moltissime mail di gente che ha letto questo blog.
In molte c’era descritto proprio questo.
Mi chiedevano e si meravigliavano di come cose accadute a me li toccassero in modo così profondo e personale.
Molti si commuovono come se quelle stesse cose fossero capitate a loro.
Credo che sia proprio così.
Quelle cose sono loro.
Quando riesco a parlare senza i miei muri difensivi, a cuore aperto, tutto arriva.
Perché quella non è la mia verità, ma la nostra, quello non è il mio amore, ma il nostro.
Se fossimo più svegli ci accorgeremo di quanto ci apparteniamo l’un l’altro.
Nella mia vita un giorno ha deciso di fare capolino una frase che amo molto.
Dalla prima volta mi è rimasta addosso, ogni tanto qualcuno me la riporta.Penso che spieghi molte cose.
“Dapprima mi è sembrato di conoscere già questa musica; dopo, riflettendoci sopra, ho capito da dove derivava questa falsa impressione: mi era sembrato che questa musica fosse mia, ed io la riconoscevo, come tutti riconoscono le cose che sono destinati ad amare.”
(Lettera di Charles Baudelaire a Richard Wagner,
17 febbraio 1860)
Ieri sera ho riconosciuto qualcosa in “favola” qualcosa che mi apparteneva. E con immensa gioia ho potuto dire “bravo Filippo” senza aggiungere altro.
p.s. invece aggiungo. Anche Lucia Mascino e Luca Pignagnoli, che recitano con Filippo sono straordinari.
Anche Lucia era presente lo scorso capodanno a casa di Filippo. E anche lei ribadisce con forza la sua diversità.