Mi risveglio avvolto dalla nebbia.
Abitando a Roma non ci ero più abituato.
Ogni tanto fa bene tornare da mamma e papà. La Romagna mi accoglie con la miope visione di una natura rarefatta.
Un po’ questo biancore confuso che disperde i contorni delle cose mi mancava. Cancella gli angoli.
Al posto di Viola trovo la colazione di Valeria, a casa. È un sacco che non facevo colazione a casa.
La tavola apparecchiata, il pane appena sfornato, le marmellate fatte in case, profumo di caffè, davanti alla vetrata che dà sulla piscina.
La famiglia del mulino bianco.
Così i miei amici di Roma hanno definito casa mia, la prima volta che sono venuti a trovarmi.
Gli altri già così la chiamavano.
E in effetti manca solo il Labrador che partorisce senza sporcare nulla sui sedili posteriori della stationwagon.
Il resto c’è tutto.
Mamma e papà che si amano da infiniti anni (quest’anno fanno i 35…) e insieme affrontano tutto, una squadra molto affiatata che si compensa nelle diversità.
Un unione perfetta che ovviamente mi crea un enorme senso di inferiorità! (non per niente sono stato in analisi)
Sono stati l’uno il primo amore dell’altra, insieme ne hanno passate di tutti i colori.
Di questi colori io ne sono stati parecchi.
Siamo quattro fratelli.
Poi non contenti ne hanno adottata una quinta, from Marocco with love!
Mia madre fa parte di un’associazione che accoglie bambini che hanno subito violenze dalla famiglia d’origine o che comunque non sono in grado di crescerli per il momento e li “custodisce” durante il periodo del processo.
Già togliere un bambino alla famiglia è traumatico. Se poi lo inserisci in un istituto, privo di quel calore umano indispensabile, a maggior ragione in quel tipo di situazioni, il danno può essere serio. Vengono così selezionate delle famiglie che hanno già dei figli, in modo che non si crei quell’attaccamento viscerale di chi non riesce ad avere figli naturali. Perché questi sono affidi temporanei e in base all’andamento del processo normalmente si procede al reinserimento nel tessuto familiare d’origine. A volte peró le famiglie sono talmente disastrate che i bambini rimangono.
La Magdina è rimasta.
Prima di lei erano già passati per periodi da uno a due anni Sonia (italiana) e Wualid (arabo).
Mia madre, non riuscendo a dire il suo nome, lo chiamava Wind.
Mio fratello, essendo scemo, lo chiamava Dodi, in onore di Dodi Al-fayed.
Ognuno di questi bimbi è speciale.
Hanno una capacità di dare affetto talmente sviluppato da lasciare senza parole.
Hanno un desiderio di famiglia che commuove, che ti costringe a riflettere su quanto noi lo diamo per scontato.
Perchè solo quando hai un legame forte come quello di una famiglia sei davvero libero di andare.
Sonia a tre anni chiese a mia madre di farle delle foto, primopiano del volto. Volle ritagliarle. Poi andò per tutta casa e attaccò la sua faccina in tutte le foto di famiglia sparse per casa.
Il nostro desiderio di appartenenza, il bisogno di un punto di riferimento saldo, ce lo portiamo avanti dalla nascita.
È istinto. Fa parte di noi.
Hanno girato anche un documentario su questa esperienza di affido.
I miei genitori intervistati.
Il documentario è finito al festival di Cannes.
Cioè mia madre, casalinga, è finita a Cannes prima di me (devo tornare in analisi).
Ovunque ho vissuto nel mondo ho ricreato una mia famiglia.
Non ne posso fare a meno.
Non sono un solitario, anche se questo mi darebbe un’allure più sofisticata.
Ho il pilota automatico in questo, mi bastano pochi giorni.
Sono un crea famiglia supersonico.
I miei amici dicono che dovrei vivere in una comune.
E infatti il mio sogno è quello di comprare un intero palazzo di Roma con vari appartamenti e un grande terrazzo comune. E sistemarci tutti quelli che amo.
Melrose Place mi ha rovinato.
Mi ricordo che durante le riprese del film “penso che un sogno così” vivevamo tutti sotto lo stesso tetto in una splendida villa in toscana.
Lavoravamo tutti i giorni tutto il giorno, spinti da un entusiasmo incredibile.
È stato uno dei periodi più belli della mia vita.
E il momento della giornata che preferivo era la colazione.
Si scendeva alla spicciolata nella grande cucina al piano terra.
Un tavolo di marmo lunghissimo, l’odore del caffè, dei biscotti del forno.
Salutarsi, stropicciarsi, ridere.
Iniziare la giornata così era magico.
Mi riempivo di quel momento, me lo portavo avanti tutto il giorno.
“Cheffai?”
La Magdina col suo vestitino rosso prenatalizio mi guarda.
” Scrivo”
Le sorrido.
“Senti, adesso smetti di scrivere tutte queste sciocchezze e giochiamo a nascondino,capito?”
Mi darà filo da torcere questa ragazzina.
Scusate devo andare.
1, 2, 3, 4, 5 … Chi è fuori è fuori,chi è dentro è dentro…